I principi
Il S.A.T. (Servizio Assistenza Tossicodipendenti) del Quartiere San Vitale è un organismo di volontariato nato il 24/1/1983 con delibera n.11 del Consiglio dell’allora Quartiere Irnerio, Comune di Bologna, che ne approva lo Statuto e gli scopi riguardanti il problema della tossicodipendenza a livello di accoglienza, di ideazione e di gestione di iter terapeutici, di prevenzione e di studio in materia. La nascita di tale organismo era avvenuta sulla base di una analisi della realtà bolognese che, riconoscendo lo stato di preoccupante diffusione di tale fenomeno nella nostra società, individuava nel volontariato una delle forze principali di intervento in tale ambito. Come previsto dallo statuto, il S.A.T. era gestito dall’assemblea degli operatori. I volontari rispondevano della propria attività al Consiglio di Quartiere e all’assessorato competente.
A causa di una serie di modifiche alla legislazione degli Enti Locali, il S.A.T. si è trasformato nel 1996 in Associazione di Volontariato con sede presso il Quartiere San Vitale in Vicolo Bolognetti n. 2, riconosciuta dalla Regione, che prevede nel suo nuovo Statuto come soci onorari il Sindaco e l’Assessore alle Politiche Sociali di Bologna e il Presidente del Quartiere San Vitale.
Mandato e visione dell’Associazione
Il S.A.T. è un’associazione di volontariato che non persegue scopi di lucro. Si pone l’obiettivo di favorire la prevenzione, il recupero e il reinserimento sociale dei tossicodipendenti; di contribuire alla comprensione teorica del fenomeno e alla costruzione di strumenti e politiche riguardanti la lotta alle droghe, l’AIDS, e tutte le sindromi e le patologie correlate al mondo della dipendenza. Tali finalità potranno essere perseguite con ogni strumento utile quali a mero titolo di esempio: organizzazione di seminari e convegni, predisposizione di materiale didattico, informazione, redazione di riviste on line e cartacee, attività ricreative e culturali tramite l’uso di animali domestici, da cortile ed equini." (Art.2 Statuto dell’Associazione S.A.T.).
Un’esigenza molto importante del nostro servizio, che si è mantenuta costante in questi anni, è sempre stata quella di prendere le distanze dalla dicotomia allora vivamente sentita ed ancora oggi molto pregnante, riguardante l’alternativa pubblico-privato. Fin dalle sue origini il S.A.T. si è posto come un centro di volontariato che permettesse di affiancare ad un intervento caratterizzato da una serie di garanzie, tipiche del momento pubblico, l’agilità e la fantasia di quello privato: una delle critiche, infatti, che più spesso vengono rivolte agli operatori dei servizi pubblici riguarda proprio la loro rigidità di adattamento alle esigenze di chi ha bisogno e, comunque, la macchinosità e la lentezza degli interventi. Noi abbiamo, tra i primi, adattato i nostri orari di ricevimento a quelli della vita degli individui con problemi di tossicodipendenza; di qui, ad esempio la decisione di aprire negli orari tardo-pomeridiani e serali.
Le premesse del nostro operare sono nate da considerazioni e da analisi elaborate in questi anni, a partire dalla constatazione che il problema della tossicodipendenza, al di là delle sue dimensioni, sia dotato di una caratteristica di complessità che richiede risposte le più diversificate possibili.
Tale diversità si manifesterebbe sia a livello di implicazioni sociali che di motivazioni psicologiche. A partire da tale constatazione, tuttavia, ci si è accorti di una caratteristica di plasticità della droga che, apparentemente, sembra adattarsi alle esigenze di ogni individuo: di qui l’importanza di una specializzazione e di una personalizzazione nell’impostazione del programma terapeutico che cerchi di comprendere quale aspetto particolare proprio di quell’individuo sia stato coinvolto dalla o dalle sostanze, per introdurre un adeguato programma finalizzato di recupero, coinvolgendo ogni possibile risorsa personale, familiare e sociale.
Tutto ciò premesso il S.A.T. ha cercato, fin dalle proprie origini, di studiare un intervento integrato nel territorio e di impostare il proprio intervento non in termini unidimensionali.
Anche quando ci limitavamo a funzionare come semplice accoglienza per l’invio in comunità, abbiamo cercato di organizzare una presa in carico dell’utente attraverso una serie di attività che non si limitassero solo al colloquio, ma che si configurassero già come una rete di interessi ai quali l’utente potesse attingere una volta deciso di abbandonare il vecchio gruppo di tossicodipendenti o che permettesse agli utenti in uscita da comunità residenziali di ricrearsi una nuova dimensione relazionale.
La difficoltà a reperire posti in comunità ci spinse a passare alla gestione e all’ideazione sia di iter non-comunitari di uscita dalla tossicodipendenza (quelli che abbiamo chiamato “iter terapeutici nel sociale”) sia di centri semi-residenziali.
Occorre ricordare, comunque, che ogni eventuale soluzione adottata non esclude mai le altre, quali quelle comunitarie, che anzi, agiscono come proposte di riserva in caso di fallimento dell’iniziativa.